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CORPI MIGRANTI | Max Hirzel, Max Hirzel con "Corpi migranti" ha indagato sulla sorte dei cadaveri dei migranti e sul complesso e pietoso lavoro di analisi per attribuire un'identità ai corpi.

CORPI MIGRANTI | Max Hirzel

introbio


Questo reportage vuole raccontare il viaggio dei corpi dei migranti deceduti nel Mediterraneo, dopo che i riflettori si sono spenti sulla sequenza di drammi. Dove vengono sepolti, come, e cosa viene fatto per restituire loro un nome e sollievo alle famiglie che li cercano?

Questi corpi, per quantità ed età delle vittime, rappresentano un'anomalia, che si tende a scambiare per fatalità. Volevo mostrare l'anomalia. Ma anche compiere un piccolo gesto, di attenzione. Ho iniziato dai cimiteri, trovando similitudini tra accoglienza dei vivi e gestione dei morti: codici, file, numeri, linee, tute, mascherine. Sono sparsi in tutta la Sicilia, cimiteri piccoli e grandi. A volte sul cemento fresco è incisa una scritta, sconosciuto nr. 25, o addirittura africana. Può sembrare incuria, invece rappresenta la difficoltà a gestire l'anomalia.

Al contrario, la Sicilia dimostra una capacità di compassione straordinaria, e a suo modo ha fatto proprio il lutto che non può essere celebrato dalle famiglie dei migranti. Perché mancano la maggior parte dei nomi. È stato naturale avvicinarmi al tema dell'identificazione; così la storia m'ha condotto tra chi lavora per restituire l'identità, prima al Policlinico di Palermo, poi nella base NATO di Melilli dove è stato portato il relitto del naufragio del 18 Aprile 2015, con ancora 450 salme all'interno; quindi ai laboratori del Labanof a Milano, fino poi nel Saloum, in Senegal, dove la famiglia di Mamadou aspetta ancora, senza poter celebrare il lutto
Max Hirzel




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Personale medico e di sicurezza all'arrivo della nave militare tedesca Werra sul molo del porto di Augusta, con 105 migranti recuperati in alto mare il giorno prima agosto 2015. © Max Hirzel.
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Personale medico e di sicurezza all'arrivo della nave militare tedesca Werra sul molo del porto di Augusta, con 105 migranti recuperati in alto mare il giorno prima agosto 2015. © Max Hirzel.

Daniele Darricello, tecnico d'autopsia del Policlinico di Palermo, mostra i suoi strumenti di lavoro. Il team del Policlinico è appositamente formato secondo le procedure DVI(Distaser Victims Identification),maggio 2016. © Max Hirzel.
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Daniele Darricello, tecnico d'autopsia del Policlinico di Palermo, mostra i suoi strumenti di lavoro. Il team del Policlinico è appositamente formato secondo le procedure DVI(Distaser Victims Identification),maggio 2016. © Max Hirzel.

 Nel laboratorio del Policlinico di Palermo Maria Rita Agliazzo, specializzata nell'esame delle ossa, mostra una sezione di femore, la cui analisi serve a determinare il range dell'età della vittima. ,maggio 2016. © Max Hirzel.
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Nel laboratorio del Policlinico di Palermo Maria Rita Agliazzo, specializzata nell'esame delle ossa, mostra una sezione di femore, la cui analisi serve a determinare il range dell'età della vittima. ,maggio 2016. © Max Hirzel.

 Nel laboratorio del Policlinico di Palermo, le sezioni di femore di 52 vittime migranti, la cui analisi al microscopio aiuta a definire il range d'età della vittima, maggio 2016. © Max Hirzel.
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Nel laboratorio del Policlinico di Palermo, le sezioni di femore di 52 vittime migranti, la cui analisi al microscopio aiuta a definire il range d'età della vittima, maggio 2016. © Max Hirzel.

 La tomba contrassegnata con il numero 63, di una delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013, nel cimitero di Piano Gatta, ad Agrigento. Si tratta di una giovane ragazza sub-sahariana, età presunta 25 anni, alta 1,70m, peso 75kg, morta per annegamento, agosto 2015. © Max Hirzel.
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La tomba contrassegnata con il numero 63, di una delle vittime del naufragio del 3 ottobre 2013, nel cimitero di Piano Gatta, ad Agrigento. Si tratta di una giovane ragazza sub-sahariana, età presunta 25 anni, alta 1,70m, peso 75kg, morta per annegamento, agosto 2015. © Max Hirzel.

La tomba di 9 persone nel cimitero di Lampedusa: 6  morti l'1 agosto 2011, gli altri 3 trovati morti in mare l'8 maggio 2011, tutti tra i 20 e i 30 anni, agosto 2015. © Max Hirzel.
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La tomba di 9 persone nel cimitero di Lampedusa: 6 morti l'1 agosto 2011, gli altri 3 trovati morti in mare l'8 maggio 2011, tutti tra i 20 e i 30 anni, agosto 2015. © Max Hirzel.

Daniele Darricello in partenza con la sua attrezzatura per raggiungere la base NATO di Melilli, per partecipare al lavoro di analisi autoptica mirata all'identificazione delle vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Daniele Darricello in partenza con la sua attrezzatura per raggiungere la base NATO di Melilli, per partecipare al lavoro di analisi autoptica mirata all'identificazione delle vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, settembre 2016. © Max Hirzel.

Nella base NATO di Melilli, il barcone naufragato il 18 Aprile 2015 e recuperato dalla Marina italiana un anno dopo; si trovava a 370 mt di profondità nei pressi delle coste libiche e all'interno sono stati ritrovati 450 corpi, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Nella base NATO di Melilli, il barcone naufragato il 18 Aprile 2015 e recuperato dalla Marina italiana un anno dopo; si trovava a 370 mt di profondità nei pressi delle coste libiche e all'interno sono stati ritrovati 450 corpi, settembre 2016. © Max Hirzel.

Nella base NATO di Melilli, il camion refrigerato della Croce Rossa contenente i corpi delle vittime non ancora analizzate. Dal relitto recuperato sono stati estratti 458 [Ii]body-bags[i], corpi che saranno esaminati tra giugno e novembre 2016, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Nella base NATO di Melilli, il camion refrigerato della Croce Rossa contenente i corpi delle vittime non ancora analizzate. Dal relitto recuperato sono stati estratti 458 [Ii]body-bags[i], corpi che saranno esaminati tra giugno e novembre 2016, settembre 2016. © Max Hirzel.

Nella base NATO di Melilli, due operatori funebri lavorano le parti di zinco di una serie di bare, nell'area dell'hangar adiacente alla zona rossa dove si svolgono le autopsie, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Nella base NATO di Melilli, due operatori funebri lavorano le parti di zinco di una serie di bare, nell'area dell'hangar adiacente alla zona rossa dove si svolgono le autopsie, settembre 2016. © Max Hirzel.

Da destra a sinistra, Daniele Darricello, Ginevra Malta, Gian Luigi Aronica e Marco Raimondi, del Policlinico di Palermo, entrano nell'hangar della base NATO di Melilli, dove si svolge il lavoro di analisi autoptica delle vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Da destra a sinistra, Daniele Darricello, Ginevra Malta, Gian Luigi Aronica e Marco Raimondi, del Policlinico di Palermo, entrano nell'hangar della base NATO di Melilli, dove si svolge il lavoro di analisi autoptica delle vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, settembre 2016. © Max Hirzel.

Nell'hangar della base NATO di Melilli, due operatori funebri assemblano le bare in cui vengono depositate le salme mano a mano che vengono esaminate. In questo hangar è in corso l'operazione di analisi autoptica per l'identificazione delle 450 vittime trovate nel barcone naufragato il 18 Aprile 2015, recuperato dalla Marina italiana un anno dopo, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Nell'hangar della base NATO di Melilli, due operatori funebri assemblano le bare in cui vengono depositate le salme mano a mano che vengono esaminate. In questo hangar è in corso l'operazione di analisi autoptica per l'identificazione delle 450 vittime trovate nel barcone naufragato il 18 Aprile 2015, recuperato dalla Marina italiana un anno dopo, settembre 2016. © Max Hirzel.

Marco Raimondi nel corridoio che porta alla zona rossa dell'hangar della base NATO. Una vasca d'acqua previene dalle contaminazioni, in entrata e in uscita, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Marco Raimondi nel corridoio che porta alla zona rossa dell'hangar della base NATO. Una vasca d'acqua previene dalle contaminazioni, in entrata e in uscita, settembre 2016. © Max Hirzel.

Alessandra Mazzucchi, del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense dell'Università di Milano), mentre analizza e cataloga i pantaloni di una delle vittime nell'hangar della base NATO di Melilli, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Alessandra Mazzucchi, del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense dell'Università di Milano), mentre analizza e cataloga i pantaloni di una delle vittime nell'hangar della base NATO di Melilli, settembre 2016. © Max Hirzel.

Nell'hangar della base NATO di Melilli, gli abiti di una delle vittime, disposti su una barella per l'analisi e la catalogazione; i dati post mortem verranno gestiti dal Labanof di Milano, in funzione della successiva auspicata identificazione, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Nell'hangar della base NATO di Melilli, gli abiti di una delle vittime, disposti su una barella per l'analisi e la catalogazione; i dati post mortem verranno gestiti dal Labanof di Milano, in funzione della successiva auspicata identificazione, settembre 2016. © Max Hirzel.

Una salma sulla barella, in secondo piano uno degli esaminatori pulisce la zona che sta fra il camion refrigerato che contiene i corpi e la “zona rossa” con le tende attrezzate per le autopsie. , settembre 2016. © Max Hirzel.
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Una salma sulla barella, in secondo piano uno degli esaminatori pulisce la zona che sta fra il camion refrigerato che contiene i corpi e la “zona rossa” con le tende attrezzate per le autopsie. , settembre 2016. © Max Hirzel.

Ginevra Malta, dell'equipe del Policlinico di Palermo, in una delle tende dove si svolgono le autopsie, pronta a compilare le note d'autopsia per una delle vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Ginevra Malta, dell'equipe del Policlinico di Palermo, in una delle tende dove si svolgono le autopsie, pronta a compilare le note d'autopsia per una delle vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, settembre 2016. © Max Hirzel.

Gli operatori funebri chiudono la parte zincata della bara con la salma di una vittima appena analizzata e contrassegnata dal codice PM390370. Quello stesso codice sarà riportato su tutti i reperti relativi a questo corpo, che verranno gestiti al Labanof di Milano, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Gli operatori funebri chiudono la parte zincata della bara con la salma di una vittima appena analizzata e contrassegnata dal codice PM390370. Quello stesso codice sarà riportato su tutti i reperti relativi a questo corpo, che verranno gestiti al Labanof di Milano, settembre 2016. © Max Hirzel.

Un operatore funebre ed un soldato della Marina trasportano alcune bare con le salme di vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, nella zona dell'hangar predisposta allo stoccaggio dei feretri che saranno poi trasferiti nei relativi cimiteri, settembre 2016. © Max Hirzel.
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Un operatore funebre ed un soldato della Marina trasportano alcune bare con le salme di vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, nella zona dell'hangar predisposta allo stoccaggio dei feretri che saranno poi trasferiti nei relativi cimiteri, settembre 2016. © Max Hirzel.

Nel cimitero di Rosolini, le sepolture di 6 vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, recuperate fuori dal relitto prima del recupero dello stesso ed esaminate nella base NATO di Melilli. Si tratta delle salme contrassegnate, da sinistra a destra, dai codici PM390581, 390560, 390559, 390558, 390557, 390556, maggio 2016. © Max Hirzel.
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Nel cimitero di Rosolini, le sepolture di 6 vittime del naufragio del 18 Aprile 2015, recuperate fuori dal relitto prima del recupero dello stesso ed esaminate nella base NATO di Melilli. Si tratta delle salme contrassegnate, da sinistra a destra, dai codici PM390581, 390560, 390559, 390558, 390557, 390556, maggio 2016. © Max Hirzel.

Al Labanof, alcune scatole contenenti dei reperti biologici inerenti il naufragio del 18 aprile 2015. Ogni scatola contiene i reperti di uno specifico corpo ed è contrassegnata con lo stesso codice attribuito a quel corpo e alla relativa bara, luglio 2017. © Max Hirzel.
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Al Labanof, alcune scatole contenenti dei reperti biologici inerenti il naufragio del 18 aprile 2015. Ogni scatola contiene i reperti di uno specifico corpo ed è contrassegnata con lo stesso codice attribuito a quel corpo e alla relativa bara, luglio 2017. © Max Hirzel.

Al Labanof, tra i reperti recuperati dal barcone naufragato il 18 Aprile 2015, due sacchettini con la terra di casa di due vittime. Sotto, il codice di riferimento di uno dei due sacchetti. Non tutti i reperti hanno un codice, in quanto alcuni oggetti sono stati trovati sulla barca ma non possono essere attribuiti a un corpo specifico, luglio 2017. © Max Hirzel.
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Al Labanof, tra i reperti recuperati dal barcone naufragato il 18 Aprile 2015, due sacchettini con la terra di casa di due vittime. Sotto, il codice di riferimento di uno dei due sacchetti. Non tutti i reperti hanno un codice, in quanto alcuni oggetti sono stati trovati sulla barca ma non possono essere attribuiti a un corpo specifico, luglio 2017. © Max Hirzel.

La stanza di Mamadou, vittima presunta del naufragio del 18 Aprile 2015, nel suo villaggio di Soukouta, Delta del Saloum, nel Senegal del sud. Un amico sopravvissuto informò la famiglia che Mamadou si trovava su quella barca, il 18 Aprile 2015, aprile 2017. © Max Hirzel.
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La stanza di Mamadou, vittima presunta del naufragio del 18 Aprile 2015, nel suo villaggio di Soukouta, Delta del Saloum, nel Senegal del sud. Un amico sopravvissuto informò la famiglia che Mamadou si trovava su quella barca, il 18 Aprile 2015, aprile 2017. © Max Hirzel.

Ousmane a Abdou, fratelli di Mamadou, nella loro casa a Soukouta, Senegal del sud. Uno studio della Croce Rossa descrive come devastante l'effetto della mancanza di notizie per le famiglie dei dispersi. I due fratelli non sapevano nulla del lavoro di identificazione in corso in Italia, aprile 2017. © Max Hirzel.
 
 
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Ousmane a Abdou, fratelli di Mamadou, nella loro casa a Soukouta, Senegal del sud. Uno studio della Croce Rossa descrive come devastante l'effetto della mancanza di notizie per le famiglie dei dispersi. I due fratelli non sapevano nulla del lavoro di identificazione in corso in Italia, aprile 2017. © Max Hirzel.


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